A parlar di cibo a tavola, e la cosa sembra inevitabile, si finisce per parlare di intelligenza. Attorno al tavolo, dal banchetto sacrificale dei Titani al morso della mela di Apple, ciò che è in gioco è la sfida dell’intelligenza.
Di quale intelligenza, però?
L’intelligenza che contempla archetipi, essenze immutabili, fuori dal mondo? O l’intelligenza pratica, impegnata nel divenire del mondo?
Noi, che siamo immersi in difficoltà pratiche, e in condizione di lotta più spesso, di quale intelligenza abbiamo bisogno? Quale sia la più adatta appare ovvio: l’intelligenza versatile e contingente, che sa utilizzare qualità intellettuali come la prudenza, la prontezza o l’acutezza, e non disdegna di impiegare l’astuzia o anche la menzogna.
Un’intelligenza che è in dotazione ai Titani, astuti ospiti degli dei.
Di Prometeo, colui che riflette prima, o di suo fratello gemello, Epimeteo, colui che comprende solo dopo, due facce di uno stesso personaggio, i cui doni a beneficio dell’umanità finiscono però per volgersi contro l’umanità stessa. O, ancora, di Tantalo, che finisce per essere preso lui stesso nella trappola che aveva predisposto.
L’appetibilità del frutto dell’albero della conoscenza, l’intelligenza, è ancora lì a tentarci? Ma davvero ormai la si può appagare solo più nella forma di un logo tecnologico?
(4, fine)