A metà della cena, l’identità, per lo meno declinata al plurale – le tante identità –, è sembrato essere un concetto irrinunciabile. Anzi, da rivendicare, soprattutto nell’attualità del tempo presente.
Ma quest’uso dell’identità, quasi a puntellare, come dire, un’idea di soggettività, di costruzione di sé, soggetta a un’incessante trasformazione, priva di continuità, di punti di riferimento stabili, è davvero un concetto utile alla comprensione del modo in cui si fa esperienza di sé in quest’epoca postmoderna?
O, non invece, anche in questo caso, è necessario farne a meno?
(4, continua)