Una lettura augurale di Gabriele Vacis, per il nuovo anno:
Un prete c’era qui […] che diceva messa prima, e faceva una predica assai semplice, sempre quella. Taceva a lungo presso la balaustra, fissando l’uditorio di rozzi ammazzatori di pidocchi, poi proferiva in tre brusche emissioni il suo messaggio:
Bisogna — èssare — bòni.
Questa era la predica. Mio papà se ne ricorda chiaramente. Mi pare che quel nostro prete, che si chiamava don Culatta, predicasse in modo esauriente: che altro c’è da dire?
(Da Libera nos a malo di Luigi Meneghello)
E, infatti, che altro dire sull’educazione sentimentale? Resta la domanda «Come si fa educazione d’amore?» Perché al disincanto del modello dell’amore romantico non si sostituisca il cinismo del “controllo”, l’esercizio di un potere, anche attraverso la sessualità, in una relazione amorosa.
E, più in generale, come si fa a uscire da una relazione di potere? La riflessione sul sistema patriarcale complica il discorso: rivendicare il diritto individuale alla libertà è senz’altro il segno di una posizione culturale progressista, e infatti basta guardare alla realtà di fatto del sessismo, alla condizione di discriminazione di un sesso rispetto all’altro, e specialmente quello femminile. In questo contesto, la socialità degli individui sembra manifestarsi in apparenza come diretta dipendenza personale (al modo dell’antica patria potestas), come una relazione reciproca tra individui, e non invece come un potere estraneo, come subordinazione a un sistema di relazioni, che sussiste al di là degli individui.
Ma entro questo contesto di senso, all’individuo, anche là dove lo si osservi sotto varie categorie, biologiche, sociali e culturali, che interagiscano su molteplici livelli nel definirne l’identità, cosa resta da fare se non basarsi sulla rivendicazione di essere portatore di una natura umana universale fuori dalla storia?
Forse, però, questa impostazione del problema non è sufficiente a produrre un cambiamento di struttura della vita sociale.
(9, fine)