Un device, un dispositivo personale come il cellulare a cosa serve più spesso, oggi? A replicare l’esperienza della propria presenza: l’esperienza immersiva dell’essere “qui e ora” si duplica, si archivia in un formato digitale (messaggio vocale, scrittura o immagine) che in gran parte si fa comunicazione, esperienza condivisa, in differita.
Come il fare esperienza “dal vivo” si trasforma con la sua pervasiva digitalizzazione? E come qualificare quel bisogno di condivisione, di moltiplicazione dell’esperienza, nel tempo, a distanza, con gli altri? È in discussione il senso – una perdita ontologica? – della presenza. Alla comunità dei corpi, alla loro congiunzione sensibile, sembra sostituirsi la connessione algoritmica della tecnologia digitale.
Per Davide Sisto, occorre riflettere sulla “differenza” esperienziale delle due realtà, corporea e virtuale al tempo stesso. È indubbio che la tecnologia digitale, il cui funzionamento, secondo una logica estrattiva come per il petrolio, si presenta come una questione altamente problematica. L’estrazione dei dati (dall’ambiente, dai comportamenti delle persone off- e on-line), che ricompare sotto forma di servizi, prodotti e decisioni di mercato per la vita sociale e politica, minaccia di trasformarsi in un gigantesco dispositivo di sorveglianza. Ma perché non pensare anche che la gestione dei dati possa, là dove la vita è carente e insostenibile per l’ambiente e l’esistenza individuale, potenziare, consentire un’espansione della presenza, essere la condizione creativa, generativa di una nuova socialità?
(3, continua)