Quali proprietà deve presentare la ricostruzione di spazi condivisi, perché sia possibile la genesi di un soggetto plurale, un “noi” basato sull’intenzionalità collettiva? Per Filippo Barbera, «la ricostruzione di spazi davvero generativi di un futuro diverso deve essere porosa rispetto alla diversità radicale». Ma solo uno spazio che dia voce al bisogno degli ultimi, dei senza voce – i silenti – può abilitare le condizioni per la genesi della domanda di un futuro più giusto.
Spazio, quindi, ibridante, basato sulla reciprocità del riconoscimento – è l’eterarchia, il governo dell’altro: il governo di un’altra misura delle cose, un’altra convenzione di qualità, un’altra metrica del valore, basata sulla reciprocità, anche e soprattutto tra posizioni dissonanti, in conflitto, per «ricostituire una comune sfera di cittadinanza». Spazio, ancora, performativo, dove la domanda di senso fondativa emerge nel corso dell’azione stessa, dove l’appartenenza è data dal fare, dal «mettersi a repentaglio», per realizzare una comune promessa di futuro (politicizzazione del futuro).
Ma in questa organizzazione spaziale di una sfera pubblica quotidiana dissonante, l’idea stessa di cittadinanza, in quanto azione che nutre la capacità di attivare una domanda collettiva per un futuro più giusto, quale spazio assegnare al desiderio individuale e all’aspirazione personale alla felicità?
Come costruire allora l’architettura di uno spazio sociale in grado di generare le condizioni dell’azione collettiva, la produzione di effetti collettivi, e lasciare un’impronta nella realtà? Per Filippo Barbera, non si tratta tanto di promuovere una speculazione su un modello ideale di società, quanto invece una capacità pragmatica di generare effetti sul funzionamento reale della democrazia (“sperimentalismo democratico”) e al tempo stesso di costruire una nuova alleanza tra saperi tecnici e politica.
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