Terzo passo, verso Somiglianze, Una via per la convivenza (2019). Come liberarsi, allora, del concetto di identità? Di quell’identità che ci viene costantemente tra i piedi? E che, in effetti, percorre l’intera storia della filosofia occidentale.
Il concetto di identità
risale all’impostazione di Aristotele, e prima ancora di Platone, un’impostazione fondata sul concetto di sostanza. Le cose, gli esseri, noi stessi sono sostanze. La sostanza è ciò che permane. Per definizione, è il permanere, ciò che non cambia. La sostanza è ciò che resiste nel tempo, ciò che non si trasforma.
C’è una evidente gerarchia tra ciò che rimane (sostanza) e ciò che cambia (accidenti). Il pensiero dell’identità è allora l’espressione di un sistema di dominio. Il tentativo di occultare ciò che ci rende soggetti alla trasformazione, al processo che rende soltanto «simili» e non «uguali» le cose, gliesseri e noi stessi nel tempo.
Per Francesco Remotti, la nostra eredità intellettuale, dai tempi del filosofo Protagora, – come documentata da Carlo Augusto Viano in La selva delle somiglianze – è fondata su questa guerra dell’«identità» contro le «somiglianze». Nella stessa scienza moderna, le somiglianze sono state messe ai margini.
Vale la pena però citare l’espressione di Michel Foucault, circa “il mormorio continuo delle somiglianze”, per ricordarci che le somiglianze non sono scomparse dalla realtà del mondo. E l’opera di Charles Darwin, L’origine delle specie, ne è una testimonianza esemplare.
(3, continua)