La pratica del silenzio interiore è una disciplina del sé. Un esercizio, una cura di sé, una tecnologia di padronanza dell’esperienza di sé, basata sull’apprendere a farsi «soggetto osservatore» di tutta la propria esperienza.
È un dispositivo di disciplinamento della vita individuale, una ricerca individuale di salvezza, di fronte al caos, al “rumore “ del mondo? È il perpetuarsi di uno spazio di ricerca individuale e collettiva a fronte di una realtà economica, sociale e politica, che di fatto nega l’emancipazione effettiva, la realizzazione di sé, dell’individuo? Forse la ricerca del silenzio interiore è allora il sintomo di una relazione con il mondo, dallo svolgimento conflittuale, stretta da rapporti di potere che consentono a una cerchia ristretta, a élite economiche e politiche, di governare il destino della maggioranza di uomini e donne che abitano il pianeta.
Che farne allora del mondo che è da cambiare, del conflitto con la realtà? Vita interiore e mondo possono davvero essere indipendenti una dall’altro?
(4, fine)