Il “divino” è all’opera nell’incontro – saggezza che appartiene già all’antichità greca. Incontrarsi con l’altro, gli altri è la pratica di una «grammatica umana» seria, con cui modellare la soggettività di vite singole, fatta di relazioni di amicizia, di amore, di giustizia e del coraggio della verità.
Alla specificità cristiana della fede in una resurrezione dalla morte, appartiene, per Enzo Bianchi, la speranza di ritrovare in un “al di là” la presenza degli amici, di chi ci ha amato e abbiamo amato, che è tutto ciò che qui e ora vale la pena vivere, e che ci tiene insieme. Una speranza, se possibile, da condividere in cammino. In alternativa alla mancata accettazione della nostra finitudine, non resta che il sogno di una “immortalità nel nulla”. (Wladimir Jankélévitch)
Ma ugualmente, in assenza di questa fede, quale “restituzione di integrità”, di pienezza vitale, è possibile reclamare per tutti coloro la cui esistenza è segnata dal male, dall’infelicità, dall’oppressione del potere? Come soddisfare il bisogno di bellezza, cui l’angelo (rilkiano?), creatura di confine tra il visibile e l’invisibile, apre all’espressività del vivere?
È così che continuiamo ad avere bisogno ancora di “apparizioni”, e del loro messaggio, come possibilità umana.
(2, continua)