Per cosa si scende, se si scende, in piazza, oggi? Senza esitazione, la risposta dei giovani a tavola è stata che le tematiche di lotta in atto sono molteplici, da quella ecologica a quella femminista e di genere, a quella contro il dominio razziale fino a quella antispecista, e negli ultimi tempi quella a sostegno del popolo palestinese contro l’oppressione coloniale e genocidaria del governo israeliano.
Queste nuove lotte culturali e sociali, spesso di tipo identitario, quale riflessione generano? È evidente l’attenzione all’intersezionalità delle lotte, la consapevolezza cioè che la dimensione dell’oppressione si intreccia in varie forme ai contesti di vita dei singoli individui, e che all’interno delle lotte identitarie il rischio dell’esclusione o della discriminazione è in conflitto con la rivendicazione di diritti potenzialmente universalistici. Ma quale tipo di critica pratica attraversa le diverse lotte sociali? In esse, la questione del dominio economico capitalista, in tutte le dimensioni in cui si afferma – da quella razziale o di genere a quella ambientale o per la giustizia sociale –, è riconoscibile come questione trasversale?
Insomma, è davvero possibile la rivendicazione di diritti universalistici senza che le lotte assumano un carattere anticapitalista? Il rischio, per Roberto Fischi, è quello di non individuare «la polarizzazione conflittuale che c’è nella società», dove la conflittualità sociale è funzionale, è espressione di una subordinazione necessaria alla riproduzione capitalistica della ricchezza. Per gran parte degli individui la limitazione della loro vita a un livello di sussistenza, e in misura crescente di povertà, è infatti l’espressione di un sistema di accesso alla ricchezza che sussiste come un potere a loro estraneo, indipendente da loro. Un fenomeno, questo, terribilmente reale in questa fase del modo di produzione capitalistico, in cui « il diffuso processo di automatizzazione rende una percentuale crescente della popolazione assolutamente inutile dal punto di vista del processo di valorizzazione del capitale». Una inutilità sociale di individui che sono perciò soggetti a tutte le forme di oppressione, di emarginazione possibili, quando non consegnati all’indifferenza più brutale, fino alla perdita di una garanzia all’esistenza stessa.
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