Che cos’è a rischio quando il tema della ricerca scientifica – come la diffusione del virus SARS-CoV-2 – interessa il processo vitale della riproduzione sociale in epoca neoliberista? Durante la sindemia la singola individualità, la sua esistenza materiale e mentale, è dipesa quasi totalmente da infrastrutture tecnologiche, subordinate agli interessi politici, economico-finanziari dei loro assetti proprietari capitalistici (piattaforme digitali di e-commerce, i social network, le multinazionali del farmaco).
L’esistenza degli individui, consegnata all’isolamento corporeo, è risultata esposta, e mai in maniera così plastica, al paradosso di una totale indipendenza delle condizioni sociali entro le quali gli individui stessi entrano in contatto, dimostrano cioè la loro dipendenza reciproca. In questa esposizione globale e diretta, senza più livelli intermedi di partecipazione, dell’esistenza individuale ciò che sembra venir meno è la costruzione dal basso di un senso di appartenenza sociale e di condivisione di una conoscenza istituzionale: nella gestione della nostra vita, e proprio là dove ne va della nostra sopravvivenza, siamo lasciati soli, e diventa difficile sapere su chi poter contare.
L’incontro con un patogeno mortale, negli spasmi della malattia, e del dolore, e nella paura del “contagio”, ci ha mostrato però che, per comprendere cosa accade nel mondo, continuiamo ad avere bisogno di un ancoraggio emotivo e mentale in base a cui orientare la nostra vita. Ma dove trovare un tale aggancio se il senso di fiducia nella conoscenza scientifica istituzionale più prossima – quella del proprio medico – viene indebolita, depotenziata? Come può il senso di fiducia sociale non rimanere preda della manipolazione spettacolare dell’informazione e della comunicazione del sistema dei media?
(2, continua)