In effetti, la metafora della macchina applicata all’essere umano rimane al fondo ancorata a un’immagine di auto-consistenza, nel suo “funzionamento” e, per quanto il suo grado di complessità possa essere elevato, pur sempre riparabile, a ingranaggi o a pezzi sostituibili.
Ma come dimenticarsi che la “costruzione” della macchina umana non è già autonoma fin dall’inizio. Che noi siamo esseri dipendenti dal processo di apprendimento della nostra stessa costruzione. E anche che il nostro “decadimento”, la nostra fragilità, è il punto di partenza per riconoscerci in una comune umanità: che abbiamo cioè bisogno degli altri per apprendere?
E poi è proprio vero che le condizioni reali della nostra vita sociale ci permettono di realizzare la libera espressione della nostra personalità? Allora perché «il chiedere aiuto» è di fatto un tabù sociale?
(3, fine)