Qual è il senso che la scrittura di sé, una storia autobiografica, ci restituisce?
«La cosa bella di un’autobiografia – dice Elena Pugliese – è la veridicità della propria storia». Un’autenticità che scaturisce da un «patto di onestà» con sé stessi: un guardare indietro per vedere cosa è successo, e fare ordine nella propria vita. Ed è questa «la cosa affascinante: che nella scrittura di sé avviene di fatto una contro–narrazione. Ci si racconta in maniera diversa, e si capisce come il ricordo di sé, per quanto sia sempre lo stesso, nel corso della narrazione cambia in ordine al tempo della propria personale evoluzione. Così non abbiamo un’autobiografia, soltanto ma tante autobiografie».
Nella scrittura autobiografica, quindi, si crea un altro da sé, uno sdoppiamento di sé, anzi, un sé mutevole, e molteplice nel tempo.
Al tempo della storia, poi, si aggiunge il tempo della scrittura. Che è un darsi tempo, un prendersi cura di sé, un tempo da difendere, per stare dentro di sé, dentro il percorso, che è l’atto di scrivere, e creare la composizione della propria vita. «Dare ascolto a sé stessi è dare valore al percorso, a quello che si è al presente».
(1, continua)