Che cosa, dei testi della tragedia classica (Eschilo, Sofocle, Euripide), ci ha lasciato la tradizione manoscritta in nostro possesso – tardiva e sicuramente epurata nel corso della secolare trascrizione monastica dell’epoca cristiana? Per Gabriele Vacis, «il nucleo pesante, il distillato» di una lezione, da cui emerge, per quanto attiene all’educazione sentimentale, ad esempio, la figura di Antigone come di colei che si oppone al potere sulla base dell’amore. E la stessa intensità vale anche per altre figure femminili.
E a differenza dell’oggi, dove tutto è “spettacolo”, è intrattenimento, finalizzato all’evasione, lo spettacolo della tragedia greca è «scuola», è educazione. E la sua lezione fondamentale sta nel mostrarci la drammatizzazione di un conflitto profondo che governa la vita sociale, e l’animo umano: la sussistenza di una regola, di un ordine del mondo, e al tempo stesso la sua trasgressione, l’eccezione.
E ci racconta così della contraddizione di un sistema, quello patriarcale – del dominio del maschile sul femminile, di una gerarchia dei sessi, che dalla Grecia Antica si è trasmessa al mondo occidentale e al suo immaginario – ma che non smette di confrontarsi con un altro possibile ordine del mondo, a “impronta femminile” e non basato su rapporti di dominazione.
Ma anche là, dove permane l’immaginario patriarcale, con il suo carico di violenza – cultura dello stupro per cui soddisfare un impulso sessuale equivale a un esercizio di potere ritroviamo ancora quella stessa tensione, quella contraddizione. Così anche nel grande teatro di William Shakespeare, è nel rigetto di un conflitto di potere che genera inimicizia, che la figura femminile di Giulietta reclama per il desiderio d’amore, come sua condizione, l’intimità corporea, e una reciproca intensità:
È solo il tuo nome che m’è nemico, e tu sei te stesso
anche senza chiamarti Montecchi. Cos’è Montecchi?
Non è una mano, un piede, un braccio, un volto,
o qualunque parte di un uomo. Prendi un altro nome!
Cos’è un nome? Ciò che chiamiamo rosa,
con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo,
così Romeo, se non si chiamasse più Romeo,
conserverebbe quella cara perfezione che possiede
anche senza quel nome. Romeo, getta via il tuo nome,
e al suo posto, che non è parte di te, prendi tutta me stessa.
(Romeo e Giulietta, Atto II, scena II)
Ed è proprio questa istanza femminile di emancipazione a mettere in crisi oggi l’ordine patriarcale.
(5, continua)