L’esperienza del traduttore cosa ci insegna? Che è, in definitiva l’«intraducibilità» – la non perfetta coincidenza dello spazio semantico di una parola da una lingua all’altra, da un’epoca all’altra o da un essere umano a un altro – a segnalarci che qualcosa, l’esistenza di una diversità, è da salvaguardare. Che è la “differenza” a garantire il valore linguistico della comunicazione nell’incontro con l’altro, l’incontro tra una molteplicità dimondi e di storie.
L’attività di traduzione è, un’opera di ospitalità, di accoglienza dell’estraneo. È un’attività di riconoscimento di una «distanza», di un’alterità; è interpretazione, un lavoro di apertura del proprio mondo a una cultura altra e attraverso l’altra cultura un accrescimento della propria.
Solo così è possibile evitare la conformità mono-logica, e sempre solo dispotica, di un mondo, di una sola antropologia.
(2, continua)