La viltà appartiene al regno della scelta individuale: tra libertà da o resa alla pressione – dei grandi apparati politici e organizzativi o delle personali tendenze all’impulsività e delle debolezze del carattere – che riduce o limita fortemente lo spazio di scelta, o mette l’esistenza a rischio. Di fronte al dilemma che la scelta comporta, il rinunciare a fare una scelta – il non “porsi problemi”– è proprio un problema di quel “male comune” che è la viltà.
Nessuno, per Peppino Ortoleva, è infatti al di sopra di ogni viltà. Come allora educare alla vita morale? Con le storie, con il genere letterario del romanzo. In una storia, come nel corso di una vita, il protagonista è posto di fronte alla prova della scelta, a dilemmi, e a volte a quello di rifiutare o accettare di fare il male, o anche solo di permetterlo. Allora ciò che viene messo alla prova è in definitiva la rinuncia o meno alla propria umanità.
Una consapevolezza, questa, che forse ci garantisce – ma non è detto – di essere immuni dalla stupidità.
(5, continua)