Le emozioni, nel contatto con gli altri, sono la trama di cui è fatta la nostra identità. Nell’accadere delle circostanze e nella casualità, a volte, degli incontri, ognuno di noi si muove in un ambito, in un intreccio reciproco di azioni, che sono le emozioni a rendere possibili, per modificare quelle stesse circostanze. È in questa tessitura emozionale dell’azione che ognuno di noi vive la sua vita come una storia o, forse, più storie.
È una storia che testimonia che ciò che siamo si costruisce «corpo a corpo»: fin dal seno materno, lungo tutta l’infanzia e, per il resto del tempo, è una costruzione, una interdipendenza della nostra vita dalla vita degli altri, dal corpo degli altri.
Come scrivono Humberto Maturana e Ximena Dávila:
Non c’è azione umana senza un’emozione che la fondi in quanto tale e la renda possibile in quanto atto. Ritengo inoltre che, affinché si dia un modo di vita basato sullo stare insieme in interazioni ricorrenti sul piano della sensualità, all’interno del quale sorge il linguaggio, sarebbe necessaria un’emozione fondante particolare, senza la quale questo modo di vita nella convivenza non sarebbe possibile. Tale emozione è l’amore. L’amore è l’emozione che costituisce quell’ambito di azioni nel quale le nostre interazioni ricorrenti con l’altro rendono l’altro legittimo nella convivenza.
(Humberto Maturana e Ximena Dávila, Emozioni e linguaggio in educazione e politica, 2006)
In definitiva, il problema dell’identità di sé è simultaneamente il problema dell’espressione di sé. Perché l’espressione di sé richiede una forma di risonanza esterna, un modo di vita che faccia dell’accettazione dell’altro, nel corpo dell’altro, la condizione di crescita del suo stare al mondo. È nella congruenza o meno degli esiti di questo «corpo a corpo», dove l’emozionalità consensuale, dell’amore in particolare, vi gioca un ruolo importante, che si sviluppa la nostra storia individuale.
Come ancora scrivono Humberto Maturana e Ximena Dávila, a proposito della storia della nostra specie:
la conservazione di un modo di vita improntato all’amore, l’accettazione dell’altro come legittimo nella convivenza, è una condizione necessaria tanto per il normale sviluppo fisico, comportamentale, psichico, sociale e spirituale del bambino, quanto per la conservazione della salute fisica, comportamentale, psichica, sociale e spirituale dell’adulto.
In senso stretto [cioè, in senso biologico] noi esseri umani nasciamo nell’amore e dall’amore dipendiamo. Nella vita umana, la maggior parte della sofferenza proviene dalla negazione dell’amore: noi essere umani siamo figli dell’amore.
(Humberto Maturana e Ximena Dávila, Emozioni e linguaggio in educazione e politica, 2006)
Perché, allora, in età adulta, si finisce per perdere di vista il processo, la storia delle interazioni, nella convivenza sensuale, di contatto con gli altri, che ci costituisce e ci realizza? Perché perpetuiamo l’immagine di un uomo adulto autosufficiente, di individuo chiuso, isolato, come di qualcosa di a sé stante, indipendente dagli altri? È un’immagine statica, senza processo, che appunto ignora che la costruzione della nostra identità è la storia della nostra stessa disposizione corporea, emozionale e sociale, pratica e spirituale insieme, di condivisione effettiva di un comune spazio di vita.
(3, continua)