La comunicazione “imperfetta” – ovvero della vulnerabilità cui la lingua, ma forse la vita tutta, è esposta – è quell’esperienza sempre possibile, permanente di messa in scacco della reciproca comprensione umana.
Una teoria che voglia davvero esplorare il funzionamento della comunicazione non può che partire dal suo “fallimento”: ovvero dal fatto che la comunicazione “è condizionata sempre da malintesi, malfunzionamenti tecnici, problemi derivanti dalla lacunosità o sovrabbondanza dell’informazione, silenzi, segreti mantenuti o rivelati e altre forme più o meno deliberate di messaggio indiretto, obliquo”. (da La comunicazione imperfetta di Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva)
La comunicazione è un processo, un “flusso in continuo mutamento”, che non può essere racchiuso in modelli di una sua ideale rappresentazione lineare: gli scambi comunicativi sono anzi per la maggior parte connaturati da incompletezza, approssimazione, interruzioni, ambiguità.
In altre parole, nella vita abbiamo a che fare con una comunicazione che è sempre mutevole nel tempo, spesso non lineare, in cui i vari partecipanti sono chiamati a compiere continui processi di adattamento alla mutevolezza dei contesti comunicativi, e a compiere più spesso uno “sforzo di comprensione” se interessati a una reciproca espressività nella convivenza.
(1, continua)