«Individuum», in senso antropologico, origina da Agostino d’Ippona. L’individuo come “particolarità” (unicità) e “indivisibilità” (rispetto all’uomo di anima e corpo) è quindi un’invenzione concettuale del cristianesimo. Francesco Remotti, ne traccia una storia, in un prima – alcuni momenti della filosofia greca, in particolare in Platone – e in un dopo, che giunge, attraverso il concetto di persona della teologia medievale cristiana, fino al linguaggio comune di oggi.
È l’assenza di una concezione relazionale di persona – l’“individua substantia” di Severino Boezio – che fa della concezione cristiana dell’essere umano una «stranezza» rispetto alle società studiate dall’antropologia tradizionale. Stranezza nella stranezza, nella dottrina cristiana della trinità, la concezione relazionale permane, ma è riservata all’entità superiore della divinità
Ma l’“individualismo”, così persistente ancora oggi, da permeare la concezione della realtà tutta, umana e non umana, è davvero una “conquista” della modernità?
(2, continua)