Quale approccio critico adottare verso quell’immaginario culturale che, a partire dall’Ottocento, si definisce patriarcato? E che, appunto, finisce per ridurre una struttura di dominio, la superiorità del maschile sul femminile, esito di un processo storico, a semplice condizione “naturale”, a destino relazionale tra i sessi, fuori dal tempo?
La riflessione femminista ci invita a guardare a quella narrazione da una diversa prospettiva. E, per cominciare, con la consapevolezza che, a partire dalla mitologia greca, la cultura occidentale nel suo fondo di violenza è una “cultura dello stupro” – dal mito del “rapimento” o, più aulicamente, del «ratto» di Europa ad opera di Zeus alla Bisbetica domata di William Shakespeare, e oltre -, è cioè la narrazione di un’oppressione storica sempre operante.
Questo interrogarsi sui fondamenti dell’immaginario patriarcale proviene da una lotta politica attuale. Ma sarebbe un errore, come osserva Monica Catalano, soprapporre la sensibilità del presente a fenomeni culturali che sono l’espressione di un contesto storico del passato. Il rischio è che, dopo aver decostruito quell’eredità culturale, si finisca per dimenticare che l’attuale posizione critica, una conquista culturale, appartiene essa stessa alla storia, è storia. E la storia è il modo in cui l’essere umano vive nel tempo.
Ancora, per andare avanti, c’è bisogno di tutta l’intelligenza appassionata, fuori da ogni indifferenza, che può emergere soltanto da una “coralità”, da un approccio collettivo in grado di uscire da quell’orizzonte di senso della cultura patriarcale, che è la conflittualità come sistematica regolazione della vita sociale e culturale. Una lezione politica, ancora, della tragedia greca, da I sette a Tebe di Eschilo ad Antigone di Sofocle e a Euripide.
(8, continua)