Fino a prima della pandemia mondiale, il futuro era scomparso dal discorso pubblico. Oggi si torna a parlare di futuro – è una delle parole più usate nella pubblicità – perché il futuro fa paura. Ma come mantenere la speranza verso un futuro collettivo, del “noi”, senza la possibilità di proiettare un immaginario sociale oltre l’orizzonte di senso della società capitalistica attuale?
Di quale immaginario c’è bisogno per andare oltre al “non c’è alternativa” al presente, il cui realismo non consente di guardare al futuro del mondo che come catastrofe? E il cui effetto è la caduta in un’ansia esistenziale ancora più paralizzante? Una reazione, l’inquietudine per il futuro, che in questa forma riflessiva è per Filippo Barbera indice di consapevolezza del tempo che si sta vivendo.
Come il singolo individuo può allora affrontare questo senso di paralisi? Il primato dell’individuo isolato, competitivo, che fa a meno degli altri, lo consegna all’impotenza di fronte allo strapotere dell’esistente, destituendo di senso la possibilità stessa di farsi domande, di elaborare, quindi, un’intelligenza collettiva su un futuro più giusto. Ma dove attingere a un immaginario, anche solo letterario, quando nel frattempo si è prodotto un cambio di paradigma del senso del reale: dalla fiducia in un futuro progressivo, lineare e stabile del mondo all’incertezza radicale del suo stato, in crescente globale crisi ecologica, non prima immaginabile?
In questa prospettiva, per Filippo Barbere, due, fra le altre, sono le possibili direzioni verso nuove forme di relazionalità sociale: una, è riscoprire l’azione, il fare le cose con altri, sperimentare nuove forme di organizzazione prodotte da un’inedita progettualità politica, socio-tecnica, dell’esperienza vissuta all’interno dei diversi contesti sociali; l’altra, è riattivare una sacralità della vita, una sacralità laica, basata sul riconoscimento dell’altro – in tutte le sue declinazioni –, sul «riconoscimento che l’altro è necessario a te e tu all’altro», come premessa per riconfigura il governo di una società che rimetta a tema l’oscena disuguaglianza di ricchezza e di potere oggi esistente.
(7, continua)