C’è una domanda che è rimasta implicita nel corso della cena: chi esercita la critica della realtà esistente, oggi? Qual è il soggetto in grado di imprimere un movimento reale, una dinamica storica di trasformazione, tale da scongiurare la catastrofe ambientale annunciata? Quali sono i soggetti di una conflittualità sociale in grado di innescare un cambiamento di struttura nel modello economico attuale della transizione ecologica?
La risposta a questa domanda richiede di andare oltre l’affermazione di un “noi” – una generica dimensione collettiva come alternativa all’individuo. Qual è il contesto reale da cui origina un soggetto collettivo storico? A questa domanda Emanuele Leonardi risponde richiamandosi ad un’esperienza di formazione di una classe dirigente “dal basso” – quella del Collettivo di Fabbrica Gkn, una convergenza tra movimenti ecologisti e lavoratori di fabbrica – che si è definita nel corso del processo di progettazione di una fabbrica socialmente integrata e sostenibile.
È il conflitto sociale sulla giustizia climatica a determinare le caratteristiche di un soggetto pratico e le sue possibilità conoscitive al fine di operare una critica dell’esistente (Vedere Il video – 2. La giustizia climatica, tra educazione ambientale e conflitto sociale).
Si tratta di uscire da una generica denuncia dell’origine antropogenica del riscaldamento climatico e la generica critica del neoliberismo economico, la cui fiducia nei meccanismi di mercato per la soluzione del problema climatico si è rivelata totalmente fallimentare, e in una proporzione terrificante: in trent’anni di governance globale del clima (un’azione dall’alto), le emissioni sono aumentate di più che nei 240 anni dal 1750 al 1990. Che è poi il fallimento di un governo globale mirato alla preservazione della stessa dinamica capitalistica, che non è in grado di affrontare la crisi climatica nella sua totalità, perché è essa stessa il motivo principale della sua origine.
Il problema è allora: da dove è possibile costituire il punto di partenza per una nuova fase del movimento per la giustizia climatica? E così riuscire a “pensare globale per un agire locale”.
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