Di fronte alla sfida globale del cambiamento climatico in corso, e altre catastrofi, a quale soluzione affidare la salvezza dell’umanità? È auspicabile affidare la soluzione dell’emergenza ecologia generata dall’impatto ambientale del modo di produzione capitalista a una sua riformabilità, cioè, all’interno del sistema capitalista stesso?
Una sorta di convergenza tra la conservazione dell’ambiente e il regime di accumulazione capitalista, che nella dinamica del mercato stesso, e cioè sempre in una logica di privatizzazione delle risorse naturali, attraverso la riduzione dei processi di estrazione energetica, renderebbe compatibile il mantenimento di alti tassi di profitto con uno sfruttamento razionale del “capitale naturale”. Insomma, una soluzione tecno-capitalista al tema dell’ecologia.
Ma ciò significherebbe far dipendere le condizioni generali di vita dell’umanità, e anche della vita non umana, dalla decisione “illuminata” di un processo di accumulazione privata della ricchezza, la cui concentrazione in mano a pochi (l’esistenza del super-ricco – del capitalista come agente) è il risultato pur sempre solo di un processo crescente di espropriazione – in un divario di ricchezza su scala sempre più allargata – della collettività, e della massa della popolazione mondiale.
Dove sta il limite di questa dinamica di accumulazione di ricchezza individuale, e cioè del potere privato del capitalista sulle condizioni sociali, comuni, generali della produzione e riproduzione della vita? È possibile rovesciare la relazione: fare della raggiunta forma cooperativa dei processi trasformativi della natura, e nella consapevole applicazione tecnologica della scienza, il fondamento della “proprietà individuale”, della prosperità umana individuale?
(5, continua)