Cosa c’era di “radicale” nella conflittualità delle lotte economiche, sociali e culturali, tra gli anni ’60 e ’70? Quella radicalità che si espresse nel “lungo autunno caldo” degli anni ’70, in quella convergenza di lotta tra movimento operaio e movimento studentesco, e che cominciò a individuare nel Partito Comunista Italiano (PCI) più che un alleato un avversario.
All’epoca, quale strategica politica intraprese la sinistra istituzionale? E in piena divergenza poi dalle istanze di lotta che si erano espresse nella conflittualità di massa? Diversa fu la lettura del contesto storico di allora, e di alcuni eventi storici. In particolare, diversa era la posizione nei confronti del regime sovietico, segnato dai crimini dello stalinismo, che aveva represso le aspirazioni alla libertà «socialista» nei suoi paesi satellite (l’invasione di Praga nel 1968), e nei confronti della transizione democratica al socialismo di Allende in Cile, di cui il golpe del 11 settembre del 1973 aveva decretato la fine; questi eventi portarono il Partito Comunista Italiano (PCI) ad essere, per Gianfranco Pancino, «il motore maggiore della repressione» di quell’area della contestazione, la cui istanza era rivoluzionaria, di lotta cioè contro l’oppressione del sistema capitalistico.
La differenza di lettura era però di sostanza, su problemi di natura strutturale. Dove la differenza sta nel pensare l’alternativa, il progetto di una società diversa, in cui diviene possibile trasformare nella lotta il nesso tra le condizioni materiali del processo produttivo e le istanze di emancipazione; nel pensare, quindi, la giusta lotta contro lo sfruttamento capitalistico.
Soggettività diverse si costruirono in e attraverso quelle istanze di lotta. Soggettività, di cui Gianfranco Pancino ci dà testimonianza, aperte a spazi di confronto, di discussione comune tra generazioni sensibili alla critica dell’analisi marxista della società.
Per capire perché la parola “rivoluzione” è una parola che manca dal vocabolario di alcuni movimenti politici di oggi, forse, bisogna ripartire da quella differenza: dalla messa in discussione di quella generale dipendenza da un sistema economico, che mira a fare della vita degli individui solo e sempre un mezzo per la valorizzazione del capitale.
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