In questa fase del tardo-capitalismo, il concetto di classe è un concetto ancora utile a ridefinire una strategia di emancipazione nella gestione della convivenza umana? In Karl Marx il concetto serve a individuare i soggetti sociali in base alla loro funzionalità, al ruolo cioè che giocano nel processo di “creazione delle condizioni della loro vita sociale”, e nella prospettiva di un futuro in cui sia possibile accrescere la capacità di “assoggettare” quelle stesse condizioni a un maggiore controllo comune.
La questione, per Roberto Fineschi, del soggetto sociale «non è tanto quella di non esistere come membro funzionale di classe, la vera questione è come far acquisire al membro funzionale di classe una coscienza o autocoscienza della sua posizione», del suo essere funzionalmente strutturato in un sistema. Nella attuale dinamica capitalistica della riproduzione sociale, risulta però più difficile, a fronte di una “polverizzazione” della figura del lavoratore, riconoscere che la funzionalità di classe è strutturale, ed è inclusiva di molteplici concrezioni storiche del lavoro salariato. Ma, come in precedenza, la costruzione di una coscienza di classe è, e rimane, una sfida politica, per cui occorre avere «la pazienza del tempo».
C’è un’altra questione. Mentre nella fase progressiva del suo sviluppo “classico” occidentale, il modo di produzione capitalistico era in grado di garantire, pur dentro una elevata conflittualità sociale e forse grazia ad essa, livelli di benessere diffuso, e di elaborare una visione emancipativa (diritti universali borghesi) dell’essere umano, nella sua fase tarda questo processo è in crisi espansiva; e, al contrario, ora tende a sviluppare, e sempre più su scala mondiale, sistemi di rapina, di valorizzazione per rapina. Questa curvatura dispotica e brutale del processo di valorizzazione rende difficile raccordare rivendicazioni politiche e teorico-culturali in una generale prospettiva emancipativa. Quanto più infatti il dominio capitalistico si presenta come esercizio diretto della violenza dell’Occidente – e ormai non più soltanto al di fuori dei suoi territori ma al suo stesso interno –, le lotte di rivendicazione rischiano di assumere una forma di rifiuto del “primato” dell’Occidente e della sua tradizione culturale e politica. Un anti-occidentalismo che non necessariamente è in funzione anti-capitalistica.
Quale direzione prendere allora? «Sforzarsi – dice Roberto Fineschi – di trovare il raccordo tra una elaborazione della teoria marxiana rivisitata e la sua applicabilità», maturare una consapevolezza, anche in una chiave di responsabilità individuale, dei processi in cui siamo immersi, per promuovere forme di resistenza, lotte di emancipazione collettiva.
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