Una questione di metodo. La comprensione del mondo in cui viviamo è davvero separabile dal problema di come vogliamo starci, in questo mondo – un problema etico? La conoscenza delle scienze umane è davvero realizzabile secondo il criterio dell’”avalutatività” della conoscenza scientifica? E la stessa impresa scientifica è davvero indipendente dall’influenza di fattori di natura altra – valori di origine sociale e culturale – che non siano quelli derivabili dai processi cognitivi – valori logico-razionali – interni alla sua costruzione?
Per Peppino Ortoleva, l’avalutatività della conoscenza, da Max Weber in poi, è «una strana idea novecentesca». Non era così per l’Illuminismo per cui la conoscenza aveva anche la funzione di liberare dalla tirannide, e quindi non era estranea alla massima utilitaristica del problema della felicità (“la massima felicità per il maggior numero”). Insomma, è possibile, sulla traccia degli ultimi lavori di Sigmund Freud, porre il problema di come favorire l’affermazione dei “veri valori della vita” rispetto ad altri?
Qual è però il vantaggio di provare a «conoscere l’umanità in modo che implichi anche delle scelte di valore»? Per Peppino Ortoleva, la costruzione delle scienze sociali come impresa scientifica deve tenere insieme l’intero spettro dei processi cognitivi e le condizioni sociali entro cui si realizza l’«esperienza del vissuta» degli individui. E «far entrare l’esperienza, il vissuto degli individui – che poi significa la storia nel senso più pieno – dentro le scienze sociali, e dentro la descrizione della società» significa anche osservare che l’esperienza morale dipende, non da un sistema di valori astratti, ma dalle scelte che in concreto orientano la costruzione dell’esistenza degli individui nel tempo.
La ricerca di una connessione tra conoscenza e morale è la via per un sapere che al momento ci manca, e che riguarda la configurazione della nostra convivenza e della convivenza con noi stessi – un sapere urgente per il quale il tema della violenza umana rivela di essere, per l’attualità della sua potenza distruttiva, un problema per la nostra stessa sopravvivenza. Un problema antropologico ancora da risolvere.
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