«La pressione emessa dalla necessità della transizione ecologica […] si sommerà a catastrofi su catastrofi con la reazione degli Stati che entrano in conflitto uno con l’altro per la gestione delle risorse». (Dario Padovan)
Con l’avanzare della catastrofe ambientale, la sfida della transizione è superabile a una sola condizione: la riduzione, la riduzione globale di tutto il metabolismo della riproduzione sociale nella e con la natura. Si tratta di riparare a una “frattura metabolica” del sistema di produzione capitalista con l’intera natura, uno squilibrio carico di violenza per la convivenza umana fin dalle sue origini (vedi il passaggio dal feudalesimo alla modernità).
Come è possibile allora un governo della transizione?
Di fronte a questo scenario di conflitto – uno scenario di violenza, di guerra – il ritardo accumulato nel processo di transizione ecologica, per Dario Padovan, pone l’umanità davanti a due radicali prospettive alternative di transizione: o una sua gestione autoritaria, retta da formazioni statali di tipo fascista in continuità con i presupposti del sistema capitalista, o la messa in pratica di una «alternativa che è post-capitalista», la costruzione di un movimento per la formazione di comunità eco-comuniste.
(4, continua)