Franca D’Agostini ci invita a non dimenticare che sempre, e da sempre come specie, gli esseri umani sono capaci di «pensare in grande», di «immaginare mondi possibili»; che la «grandezza» dell’umana attività cognitiva, rivolta al senso del possibile, è già «qui», e che basta vederla.
Perché, però, il mondo in cui viviamo ci appare come l’unico possibile? Anzi, il futuro non appare più nella sua dimensione di «promessa», perché ormai il liberismo e il sistema capitalistico si presentano come il compimento ideale stesso del mondo.
Qual è oggi la proienzione, l’anticipazione di qualcosa di atteso, che ci accomuna tutti, un desiderio collettivo rispetto a un futuro?
È invece la perdita del «legame sociale», è il venir meno di un senso di comunità, ciò che caratterizza la nostra epoca?
Di questa perdita Franca D’Agostini ci ha proposto una sua «diagnosi»: l’esistenza di un conflitto tra un processo di «democratizzazione», un processo evolutivo culturale della natura umana, come specie, segnato dal libero sviluppo dell’individuo, e strutture sociali, istituzionali storicamente oligarchiche, limitanti quel processo. Fino ad oggi, almeno.
(1, continua)