Qui Gaetano Chiurazzi ci propone una lettura del mito platonico della caverna, come uscita, appunto, da una situazione di dominio, quella della riduzione della vita della mente alla sua sola dimensione digitale.
Ne va della nostra esperienza del mondo – delle forme della nostra conoscenza.
Nella metafora dell’uscita della caverna, vi è in gioco quella funzione cognitiva – l’“analogico”, la capacità di mettere a confronto, di cogliere le identità e le differenze, di stabilire connessioni – che permette il passaggio dalla sensazione al pensiero, l’uscita da una percezione e una visione di ciò che soltanto il sistema ci mostra della realtà. Nella caverna di Platone, la libertà comincia con la possibilità di muoversi, di volgere la testa, di “confrontare questo con quello”, il dentro e il fuori – una funzione analogica.
Cogliere questa forma di conoscenza comporta la messa in discussione di una nozione positiva o digitale (ossia numerica) di ciò che esiste, o – meglio – del principio stesso di ciò che esiste. E nella scoperta del senso del possibile – della possibilità di formazione e trasformazione del reale – c’è l’inizio stesso della libertà. E a tutti i livelli – psicologico, sociale e politico – della nostra vita quotidiana.
In questa “microfisica della libertà” come non richiamarsi alla forza attrattiva dell’eros, del desiderio – quella forza intrinseca, che spinge una cosa a “collegarsi con questo, piuttosto che con quello”? E che quindi è l’attività sintetica per eccellenza.
(5, continua)